Chi ha scritto la complicatissima e fantasmagorica storia di Don Chisciotte, se il suo autore sostiene di non esserne il padre ma solo uno dei tanti "patrigni"? Da un lato, la memoria delle vicende del futuro personaggio, tramandata dai suoi compaesani e depositatasi in tradizioni manoscritte negli archivi della Mancia.
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Dall'altro, la Storia di Don Chisciotte della Mancia dell'arabo Cide Hamete Benengeli, in cui Miguel de Cervantes dice di essersi imbattuto quasi per caso. E siccome, nella Spagna del Cinquecento, un arabo non poteva essere che un falsario e un impostore, con la complicità di Benengeli infarcì il testo delle più inverosimili fantasie e fandonie. Ma lo scrittore spagnolo, bugiardo matricolato, credeva anche nella verità. Così il suo Don Chisciotte è un libro dove tutto è, al tempo stesso, assolutamente falso e assolutamente vero. Illuminando alcuni personaggi, temi (la veglia d'armi, i romanzi di cavalleria), oggetti (una lettera, un elmo, un paio di calze smagliate), luoghi (una grotta, un'isola), episodi (la fuga di Sancio, la morte dell'eroe), assunti come ipotetiche chiavi d'accesso al segreto del "cavaliere errante", Pietro Citati cerca di diradare la nebbia che avvolge la natura di un libro che gioca continuamente con i nomi, gli eventi, gli intrecci, dissimulandoli e moltiplicandoli, con un tale divertito compiacimento da rendere pressoché impossibile distinguere realtà e illusione, finzione e verità, comicità e dramma.